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La schiavitù in Mauritania. Numeri allarmanti

Nonostante la Mauritania abbia ratificato convenzioni come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, così come l’accordo ACP-UE di Cotonou, pare che non voglia allinearsi pienamente ai principi in queste carte contenuti, poiché, anche se ufficialmente abolita nel 1981 e criminalizzata nel 2007, la pratica della schiavitù persiste in Mauritania. Esistono dati allarmanti: almeno il 4% della popolazione è schiavo, ma si stima che la percentuale possa essere più elevata, parlando addirittura di cifre che farebbero salire la quota fino al 20%. Alla base della schiavitù v’è una grave discriminazione razziale; gli schiavi infatti sono quasi tutti parte comunità harratin, che comprende tra il 40% e il 60% della popolazione della Mauritania, cui spesso viene negato l’accesso al lavoro o l’occupazione di importanti cariche o posizioni più elevate nella vita pubblica. La schiavitù è generalmente ereditaria, i bambini nati da schiavi diventano sistematicamente schivi dello stesso padrone cui i genitori sottostanno. Purtroppo un’altra drammatica realtà sono gli abusi che gli schiavi sono costretti a patire proprio per la loro condizione sociale: violenza sessuale, fisica e anche psicologica. Biram Dah Abeid è il figlio di schiavi liberati, e si è impegnato in una campagna di sensibilizzazione per sradicare la schiavitù: nel 2008 ha fondato l’iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista (Iniziative pour la Resurgence du Mouvement Abolitionniste) cercando di attirare l’attenzione sul problema. Questo suo impegno gli è valso l’assegnazione del Premio delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 2013. Tuttavia in data 11 novembre 2014, è stato arrestato a seguito di una pacifica marcia contro la schiavitù; e potrebbe rischiare anche la pena di morte, dato che è ancora prevista dal codice penale mauritano e non è limitata solo ai crimini più gravi. Altri attivisti anti-schiavitù sono stati arrestati e detenuti, portando il numero totale degli attivisti imprigionati a 17; si sostiene che durante gli arresti la gendarmeria mauritana ha fatto uso eccessivo della forza, tentando poi di estorcere confessioni di colpevolezza. Biram Dah Abeid è considerato una minaccia per le autorità mauritane al potere, per questo è obiettivo principale della campagna governativa volta a reprimere l’opposizione politica. Bisogna esigere il suo immediato rilascio, così come deve essere garantito a tutti gli altri prigionieri di coscienza. Il governo mauritano deve smettere di usare violenza contro i civili che partecipano a pacifiche proteste pubbliche porre fine alla repressione della società civile e l’opposizione politica, deve altresì procedere alla criminalizzazione della schiavitù e smantellare il sistema di caste su cui si basa fino al pieno raggiungimento della sua abolizione.  ]]>

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