Il Sud Sudan sta vivendo anni di atrocità, il conflitto armato iniziato nel 2013 ha visto le truppe fedeli al presidente Salva Kiir contrapposte a quelle legate all’ex vicepresidente Riek Machar. I combattimenti sono proseguiti nel 2014 e per l’intero 2015. L’Autorità intergovernativa sullo sviluppo (Intergovernmental Authority on Development, Igad), un’organizzazione regionale che riunisce otto stati dell’Africa Orientale, a gennaio 2014 ha iniziato la sua opera di mediazione tra il governo del Sud Sudan e l’Esercito di liberazione del popolo sudanese. Il 3 marzo 2015 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una serie di sanzioni contro il Sud Sudan, stabilendo divieti di viaggio e il blocco dei beni nei confronti di individui sospettati di aver commesso crimini di diritto internazionale e violazioni dei diritti umani o di rappresentare una minaccia per la pace, la sicurezza o la stabilità del paese. Credo che sia superfluo qualsiasi ulteriore commento sulla disumanità e sull’atrocità di ciò che succede in Sud Sudan. È inutile stare continuamente ad elencare quanto disumano sia ciò che accade ai bambini soldato, ma anche ciò che accade alle bambine rapite, dapprima trattate come schiave e poi destinate al mercato della prostituzione. Il Sud Sudan è lo Stato più giovane del mondo e sicuramente ci deve far riflettere il fatto che sin dalla sua nascita si trova praticamente in situazione di guerra civile perenne. Forse dovremmo comprendere a chi interessa mantenere il Sud Sudan in questa condizione, a chi ha l’interesse economico di mantenere le due fazioni, l’opposizione e il governo, in continua lotta tra di loro e quindi fomentare questo tipo di disumanità. Il territorio è devastato, privo delle necessarie infrastrutture come acquedotti e servizi sanitari e dove la maggior parte della popolazione non ha accesso all’assistenza medica. Alcune aree di confine sono ancora oggetto di contenzioso con il governo di Khartoum. Il petrolio sarebbe una grande risorsa da sfruttare, ma l’assenza di impianti di raffinazione rende necessario il trasporto del greggio attraverso l’unico oleodotto esistente, quello che passa proprio per il Sudan, che applica tariffe di passaggio elevate. Cina e Stati Uniti, le potenze con i maggiori interessi nell’area africana, tengono in pugno il destino del paese. Le potenze internazionali, infatti, hanno tutte grandi interessi da difendere o da proteggere. Il Sud Sudan è pieno di petrolio e di acqua, risorse prime che interessano tutti gli attori esteri. Nonostante il Sud Sudan venga continuamente demonizzato dal mondo occidentale con accuse di genocidio, crimini di guerra e sostegno al terrorismo, il paese trova ancora il sostegno di moltissimi partner internazionali, che sono poco interessati ai diritti umani ma molto ai profitti economici. La Chinese National Petroleum Corporation (CNPC), compagnia petrolifera statale, è attiva in Sudan dal 1996 e, nel corso degli anni, oltre a estrarre il greggio si è impegnata a costruire raffinerie, oleodotti e altre infrastrutture di vitale interesse economico. La comunità internazionale continua ad ammonire a parole il governo di Kiir, ma nella pratica guarda con molto ottimismo agli interessi geoeconomici e geopolitici. Il conflitto tra le due fazioni ha portato 800mila persone a lasciare le proprie abitazioni per sfuggire alle violenze. Di questi, secondo fonti dell’UNHCR, 236mila hanno attraversato il confine per lasciare il Paese. Inoltre, i bambini sono sempre più a rischio di reclutamento e di utilizzo da parte di gruppi armati. È proprio il caso di chiederci perché si combatte in Sud Sudan? L’intervento di Ignazio Corrao in Parlamento Europeo il 12 marzo 2015 https://www.youtube.com/watch?v=yRL9UvqflZk]]>