A Panama tutti quelli a cui dicevo di essere italiano mi rispondevano: “ah, Italiano? sabes aquí Martinelli, italiano, amigo de Berlusconi!!”. Per me sarebbe stato estremamente difficile spiegargli che in Italia quasi nessuno conosce Ricardo Martinelli, ex presidente panamense di origini lucchesi, sovrano incontrastato dei supermercati, implicato nel famoso scandalo Lavitola, la tipica storia all’italiana di corruzione, grandi appalti, video hard, puttane e droga. Quindi mi limitavo a commentare con un laconico “Claro que si, Martinelli!”. Di Martinelli, Lavitola, appalti e corruzione mi sarei poi trovato a parlare direttamente con l’ambasciatore italiano a Panama Giancarlo Maria Curcio, che la storia la conosceva bene. Ma su questo tornerò più avanti nell’estratto di diario.
L’idea, ma anche il racconto, che si può raccogliere su Panama, rischia di cambiare in modo radicale a seconda del bagaglio culturale e professionale di colui che la riporta, così vi può tranquillamente capitare di ascoltare due versioni totalmente opposte dello stesso luogo nello stesso periodo. Immaginate di ascoltare prima il racconto di un giovane e spregiudicato imprenditore, accanito sostenitore delle teorie sulla libertà fiscale e regolatoria, e poi incrociare il racconto di un cooperante o di un fermo difensore dei diritti umani. Due mondi così lontani e così vicini.
Mi chiedo quale sia la communis opinio, la normale concezione popolare che accompagna uno Stato come Panamá, istmo che aggancia l’America del sud con l’America centrale, che collega l’Oceano Atlantico con quello Pacifico, una ex provincia della grande Colombia di Simón Bolivár, con cui confina a sud in una selvaggia e rurale area, dove il ritmo latino della salsa a tutto volume nelle auto si mescola con i frenetici ritmi occidentali di una city che somiglia sempre più ad una Miami decontestualizzata dal territorio statunitense.
Cosa immagina il comune cittadino quando pensa a Panamá? Voi a cosa pensate se chiudete gli occhi?
Il canale che unisce Atlantico e Pacifico? Il paese che unisce nord e sud America? La fiesta Latina? Il caldo caraibico? Un paradiso fiscale? Una dittatura militare? Lavitola, Berlusconi e Martinelli ed i video proibiti?
Gli spunti sono tanti, anzi tantissimi, ed io ho provato a buttare giù alcuni dati e qualche impressione personale, con il poco, pochissimo tempo che avevo a disposizione per recepire e sopratutto per scrivere i consueti diari che da sempre porto dietro quando viaggio (prima avevo più tempo da dedicare a viaggio, percezione ed elaborazione… adesso devo far tutto nei collegamenti aerei).
Al di fuori dei lavori istituzionali, che hanno impiegato la quasi totalità dell’agenda e da cui ho tratto senz’altro degli spunti interessanti, ho avuto modo di poter conversare sopratutto con i tassisti e con qualche indigeno che ci ha accompagnato in giro, come ad esempio il buon Pedro che (chiamandomi gringo per l’aspetto occidentale) ci ha raccontato con la voce spezzata dalla rabbia quando durante la guerra-lampo condotta dagli Stati Uniti di Bush senior nel 1989, sua moglie perse la vita, così come altri circa 4000 civili nella raffica di bombardamenti sui centri abitati.
Sono andato a Panama City per partecipare, con i colleghi ai lavori dell’Eurolat, l’assemblea congiunta tra Parlamento Europeo e Parlamento Latinoamericano, congresso che si riunisce due volte l’anno per fare il punto delle relazioni diplomatiche e commerciali tra i due continenti. Io ne faccio parte in quanto componente della delegazione sui rapporti con il parlandino, ossia l’istituzione che raggruppa i rappresentanti dei paesi della comunità andina: Perù, Cile, Bolivia, Ecuador, Colombia e Venezuela.
L’Eurolat si suddivide in 4 commissioni tematiche, insieme con i colleghi parlamentari dell’America del sud e centrale, io ho partecipato ai lavori della commissione sociale, sui diritti e le migrazioni. Siamo arrivati a Panama lunedì e siamo ripartiti giovedì sera, quindi non abbiamo avuto tempo libero per poter girare il paese e raccogliere chissà quale grande impressione, ma ogni momento utile l’ho usato per cercare di cogliere il massimo da questa breve esperienza, massimizzando il background da viaggiatore che mi porto dietro.
Arrivati all’aeroporto di Tocumán, dopo circa 13 ore di viaggio e dopo aver sorvolato le magnifiche baie dei paesi caraibici, mi sono sentito ripiombare nella mia Palermo di fine luglio, quella della fuga verso le spiagge ed il mare, con la stessa sensazione di caldo appiccicoso che provavo in quei giorni in cui si tengono le udienze in corte d’appello davanti ad una schiera di avvocati con le camicie che grondavano di sudore. Le condizioni climatiche di Panamá infatti, sono del tutto paragonabili a quelle dei Caraibi, con numerosi spunti equatoriali soprattutto lungo la costa caraibica, ossia quella in direzione Atlantico. La cosiddetta stagione “secca”, ossia l’inverno (che in questo momento stava per finire), è comunque molto calda e le temperature si aggirano sempre sui 33-35°C, con una percentuale di umidità notevole ma, fortunatamente, anche una buona ventilazione. La stagione umida o delle piogge dura da aprile a novembre (in alcune zone è coinvolto anche tutto dicembre) ed è molto afosa, con piogge giornaliere costanti e fortissima umidità.
Il paese ha una forma di “S” e si espande tra due catene montuose che ne segnano i confini naturali a sud con la Colombia (serranìa del Darièn, una giungla selvaggia e molto piovosa) e a nord con il Costa Rica (la cordillería centrál), dove si eleva il vulcano Barù che è la più alta cima del paese con i suoi 3475 metri.
La cosa che più ti colpisce di questa zona del mondo è la biodiversità ed il dominio incontrastato della natura. Anche alle porte della stessa Panama City è possibile ammirare una varietà incredibile di piante ed animali per noi sconosciuti, ad esempio una cosa che mi richiamava l’attenzione visiva di continuo erano gli uccelli e la grande varietà di piante tropicali, alla vista di colonie intere di grandi Pellicani accanto al mercato del pesce mi si sono illuminati gli occhi, mentre per le altre razze che svolazzavano per la città avrei avuto bisogno dell’enciclopedia degli animali che consultavo sempre da bambino.
Mi sarebbe piaciuto visitare uno degli immensi parchi naturali che si estendono nel territorio di Panama, ma non ne ho avuto il tempo e il modo, così come mi sarebbe piaciuto visitare Porto Belo (il porto da cui partivano i Galeoni carichi di oro estratto in Bolivia) o la meravigliosa baia di Boca de Toros in cui vivono le popolazioni indigene.
Contesto storico e geo-politico
Panamá è nell’immaginario collettivo l’anello di congiunzione tra le Americhe (Il puente de las Americas, nella foto accanto, che sorge vicino a Panama City, unisce idealmente i continenti) e rappresenta il posto in cui si separano, definitivamente, l’America del nord, comprensiva della porzione comunemente indicata come America centrale, e l’America del sud. Il luogo di separazione viene generalmente tracciato lungo l’istmo di Panamá. Questa sua peculiarità rende Panamá un Paese transcontinentale, a cavallo tra i due continenti.
I confini politici sono con il Costa Rica a Nord e con la Colombia a sud. Il Paese è interamente attraversato dalla famosa e per certi versi mitica strada Panamericana, che tuttavia si blocca prima del confine con la Colombia nella remota provincia del Darièn. Con la Colombia non vi sono collegamenti via terra, a causa delle intense attività di guerriglia e narcotraffico da parte dei gruppi armati nelle zone di confine.
Storicamente parlando, le coste di Panamá furono raggiunte ed esplorate per la prima volta proprio da Cristoforo Colombo nel 1502 quando si trovava alla ricerca di un canale, di un passaggio, che gli consentisse di passare dell’oceano Atlantico a quello Pacifico (che lui riteneva essere però l’oceano Indiano). Colombo ebbe netta la sensazione di trovarsi vicino ad un istmo anche perché gli indigeni confermavano che al di là, oltre le montagne, c’era mare. Tuttavia solo undici anni dopo, quindi nel 1513, Vasco Nuñez de Balboa riuscì ad attraversare a piedi l’istmo, avvistando l’oceano Pacifico.
La regione, così come le altre della zona, divenne quindi una colonia dell’Impero spagnolo, è così come negli altri paese è possibile percepire alcuni resti del passato coloniale. Nel 1821, sotto la direzione dell’allora colonnello José Fábrega, Panama dichiarò la propria indipendenza dalla Spagna e si unì alla Repubblica di Colombia (la Grande Colombia di Simón Bolívar). Quando questa si dissolse nel 1830, Panamá rimase parte dello Stato della Colombia.
Il controllo americano su Panama, per ragioni legate alla necessità di controllare un passaggio Atlantico-Pacifico, ha inizio nel 1903. La “Repubblica” di Panamá nasce infatti, da un contenzioso economico scaturito tra gli Stati Uniti e la Colombia, nazione che possedeva i territori panamensi prima del 1903. In seguito al desiderio del presidente americano Roosevelt di aprire un canale che collegasse l’Atlantico al Pacifico, e in seguito al rifiuto da parte della Colombia di concedere la gestione dell’istmo ad un consorzio nordamericano, gli Stati Uniti inviarono nel territorio panamense la nave da guerra Nashville, che conquistò facilmente il territorio.
Il 3 novembre 1903, la Repubblica di Panamá dichiarò la propria indipendenza dalla Colombia. Il Presidente del Consiglio Municipale Demetrio H. Brid, la più alta autorità all’epoca, divenne Presidente de facto e nominò il 4 novembre un governo provvisorio a dirigere gli affari della nuova repubblica. Gli Stati Uniti, primo stato a riconoscere la nuova repubblica, inviarono l’esercito a difenderne gli interessi economici legati al canale.
L’Assemblea Costituente del 1904 elesse Manuel Amador Guerrero, importante membro del partito dei Conservatori, primo presidente costituzionale della Repubblica di Panamá.
Nel dicembre del 1903, rappresentanti della repubblica firmarono il Trattato Hay-Bunau Varilla con gli Stati Uniti, che garantì il diritto a questi ultimi di costruire ed amministrare indefinitamente il Canale di Panamá, che sarebbe stato aperto nel 1914. Il trattato generò un contenzioso diplomatico tra i due paesi, che raggiunse il punto critico nelle rivolte del Giorno dei Martiri (9 gennaio 1964). Nel 1977 la firma dei trattati Torrijos-Carter pose fine al contenzioso.
Il governo panamense attraversò comunque periodi di instabilità e corruzione e, in vari momenti della sua storia, il mandato di un presidente eletto terminò prematuramente. Nel 1968 un golpe rovesciò il governo del recentemente eletto Arnulfo Arias Madrid. Il generale Omar Torrijos riuscì ad assumere un forte ruolo di potere all’interno della giunta militare a capo del Paese e, in seguito, ad imporsi in modo autocratico fino al giorno della sua morte, avvenuta apparentemente in un incidente aereo nel 1981.
Dopo la morte di Torrijos, il potere passò nelle mani del generale Manuel Noriega, precedentemente a capo della polizia segreta panamense ed ex-informatore della CIA. Gli Stati Uniti rivolsero a Noriega l’accusa di traffico di droga internazionale e il 20 dicembre 1989 ventisettemila soldati statunitensi invasero Panamá, con l’intenzione di rimuovere Noriega.
Poche ore dopo l’avvio dell’operazione Just Cause (che si dice durò circa 17 minuti, sufficienti agli americani per rovesciare Noriega) in una cerimonia che ebbe luogo all’interno della base militare statunitense nella precedente Zona del Canale di Panama, Guillermo Endara (vincitore nelle elezioni del maggio 1989) prestò giuramento come nuovo presidente di Panamá. In ottemperanza ai Trattati Torrijos-Carter, gli Stati Uniti hanno restituito tutto il territorio del Canale a Panamá il 31 dicembre 1999, ma si sono riservati il diritto di intervenire militarmente nell’interesse della sicurezza nazionale.
La popolazione di Panamá ha approvato con un referendum l’ampliamento del Canale (di cui parlerò nello specifico più avanti) in modo da incrementare notevolmente il numero di navi in transito.
La politica a Panamá si muove sulla struttura di una repubblica democratica, presidenziale. Il Presidente della Repubblica è sia capo di Stato, sia capo del governo. Il sistema politico è multipartitico. Il potere esecutivo è esercitato dal Governo. Il potere legislativo è assegnato sia al Governo, sia all’Assemblea Nazionale. La magistratura è indipendente, molto teoricamente, sia dal potere esecutivo, sia da quello legislativo.
A proposito di politica e polizia, era curioso vedere attorno a noi, nei tragitti in pullman tra l’hotel e il parlamento, una scorta composta da due soldati in moto con mitra alla mano, che veniva puntato sulle auto ad ogni incrocio, una scena da film d’azione alla americana.
Situazione economico-sociale
Appena arrivi a Panama city ed i tuoi occhi impattano il notevole skyline, ed hai l’impressione di trovarti in un grande centro finanziario della Florida o della California, con grattacieli su grattacieli, in un ondulare di luci e colori che incrociano il cielo e le stelle, in un alternarsi di ponti, passaggi e viali che si fanno accompagnare da enormi opere accessorie di vario genere, in un contesto davvero impressionante se lo si paragona con gli standard della regione. Tuttavia appena prendi un po’ di confidenza con il posto, trovi anche gli scenari tipici dell’America Latina, con bidonville e condizioni di urbanizzazione davvero estreme.
Il “casco viejo”, ossia la città vecchia di Panama City ricorda un po’ La Havana o qualche altro insediamento coloniale del continente, però con una proporzione in miniatura, lo si può girare interamente, infatti, in una mezzoretta…
Come avrete già capito a Panama la presenza del canale rappresenta un elemento del tutto peculiare che impatta in modo notevole sull’economia del paese (del canale parleremo in un capitolo a parte), in più il paese è uno dei cosiddetti paradisi fiscali, questo fa si che anche la situazione sociale sia ben diversa rispetto ad altri paesi dell’America Latina.
La maggior parte della disoccupazione è dovuta ad Indios che vivono nelle riserve. Tuttavia secondo le stime internazionali, vive in povertà il 27% della popolazione nonostante l’economia panamense è cresciuta dell’8% nel 2006 e, per la prima volta negli ultimi dieci anni, il settore pubblico ha chiuso il 2006 con un surplus commerciale di 88 milioni di dollari.
L’economia panamense è basata sul terziario, fortemente influenzata dal settore bancario, dal commercio e dal turismo, principalmente a causa della sua posizione geografica. Panamá ha sviluppato poi determinate colture che è in grado anche di esportare: banane, riso, mais, caffè, zucchero di canna. Interessante rilievo ha l’allevamento e la vendita di gamberi. Il settore agricolo rappresentava nel 2011 il 4,3% del PIL nazionale, mentre l’industria il 16,6%, secondo i dati del CIA World Factbook.
La moneta ufficiale panamense è il Balboa, il cui valore è sempre stato legato a quello del dollaro, con il quale ha un cambio 1:1. Nel paese sono utilizzate le banconote statunitensi, perché il Balboa cartaceo non esiste, si possono trovare solamente le monete da 50, 25, 10, 5 e 1 centesimi. Panamá è uno dei tre Paesi della regione ad aver dollarizzato la propria economia. Gli altri sono l’Ecuador ed El Salvador. Nel 2011 è stata coniata una nuova moneta del valore di un balboa che riporta l’effigie di Vasco Nuñez de Balboa.
Nella lunga ed esplicativa chiacchierata fatta con l’ambasciatore e gli altri funzionari italiani di servizio a Panama, ho potuto aver conferma della tanto consueta quanto bizzarra idea di politica internazionale che viene portata avanti in stati come Panama. L’idea che ogni forma di relazione politica debba essere fondata su più o meno leciti affari multinazionali la dice lunga sul l’idea di Stato che viene portata avanti. Così non vi stupite se qualcuno vi dirà che per la politica di Panama appare del tutto incomprensibile che un Presidente del consiglio possa non avere il controllo della magistratura del suo paese, e così appariva a loro inspiegabile (nello stesso periodo in cui Berlusconi si proclamava perseguitato dei giudici comunisti) che da una insignificante procura lucana un certo Woodcock potesse sollevare, indisturbato ed impunito, tutto quel polverone sul presidente e su Lavitola, mettendo a repentaglio la buona riuscita la “credibilità” degli interlocutori italiani in una serie di grossi affari. A Panama infatti ci sono affari da fare, ci sono appalti rilevanti, si fanno grossi affari con il pubblico e operazioni di ingegneria fiscale e finanziaria tra privati, a Panama si ripulisce facilmente, si corrompe facilmente e si investe facilmente. Lo skyline di Panama è una costellazione di banche, provenienti da tutto il mondo che svettano imperiose affermando il loro predominio sul paese.
Sulla base di questi presupposti fattuali comprendi anche perché, nei trattati commerciali, è sempre più frequente la richiesta di inserimento della clausola ISDS, ossia la devoluzione ad arbitrati internazionali di eventuali controversie tra gli investitori e gli stati. Secondo questo schema, ampliamento sostenuto dalla logica neoliberista, vige la teoria secondo la quale chi mette i soldi, di qualsivoglia provenienza, non può mica stare a perdere tempo con la giustizia o altre rotture di scatole, sennò andrebbe ad investire altrove, dove le condizioni sono le più ideali, in una sempre più triste e veritiera corsa al fiscal shopping ancor prima che al forum shopping.
Per la bassa imposizione fiscale attuata e, in particolare, per l’assenza di norme e misure restrittive di controllo sul versante delle transazioni finanziarie, Panama è annoverata tra i cosiddetti “paradisi fiscali“. Infatti unitamente alle Filippine, Isole Cook, Liberia, Isole Marshall, Montserrat, Nauru, Niue, Belize, Vanuatu, Brunei, Costa Rica, Guatemala e Uruguay fa parte delle 14 giurisdizioni che, in base all’ultimo rapporto del giugno 2010 dell’Organizzazione con sede a Parigi, ancora figurano nella cosiddetta lista grigia dell’OCSE sotto la voce tax heaven e centri finanziari. Anche il sistema fiscale italiano, col Decreto Ministeriale 04/05/1999, l’ha inserita tra gli Stati o Territori aventi un regime fiscale privilegiato, cosiddetta Black List o lista nera, ponendo quindi limitazioni fiscali ai rapporti economico-commerciali che si intrattengono tra le aziende italiane ed i soggetti ubicati in tale territorio.
A Panama City non vi è la stessa situazione dì microcriminalità presente nei paesi vicini, il fatto che sia un florido centro di affari fa si che venga disincentivato il micro crimine, vi è però, una grande diffusione della prostituzione e la forte presenza del narcotraffico, che viene a ripulire nel grande centro finanziario.
La generale sensazione è, tuttavia, quella di essere in un posto abbastanza tranquillo e sicuro, anche se tutti ci consigliavano di tenere gli occhi ben aperti. Più pericolosa è invece la situazione di Colón, dall’altra parte del canale (lato Atlantico-caraibico). Molto pericolosa è invece la provincia di Darièn, la più meridionale del paese, giù a confine con la Colombia dove si interrompe la Panamericana, lì si registrano grossi movimenti di guerrilleros e narcotrafficanti.
La visita al canale di Panama e l’incontro con studenti, sindacalisti, contadini, operai e le ditte costruttrici.
Il canale è uno Stato nello Stato e genera una situazione pressoché unica al mondo, che il determina l’assetto istituzionale e gli equilibri politici del paese da sempre. In tale contesto assumono un ruolo di rilievo il Ministro del Canale (che abbiamo incontrato) e la autorità indipendente del Canale di Panama (ACP), che ne gestisce le entrate.
Abbiamo visitato i cantieri per l’allargamento il giovedì, prima di partire, incontrando in loco (un’opera davvero mastodontica) progettisti, ingegneri e operai, che ci hanno spiegato cosa stavano facendo.
Il giorno prima invece, il mercoledì sera, presso la facoltà di pubblica amministrazione della università di Panama, una delegazione di parlamentari europei di vari gruppi eravamo andati ad incontrare una delegazione di sindacalisti, di studenti, di operai e di contadini, gente a cui è stata strappata la terra per le opere di allargamento e gente che lotta per difendere il buon senso ed il proprio territorio, in un surreale scenario insorgente simile a quello che riportano i film italiani degli anni ’70, in cui tra una spiegazione tecnica e l’altra si innalzavano cori di ribellione e passionali prese di posizione populiste in pieno stile latinoamericano. La lettura dei dati era naturalmente opposta a quella riportata dagli organi governativi e dai gruppi di sostegno alle imprese, ma questa è una storia di politica economica globale, e quindi poco importa se qualcuno sostiene che l’opera è economicamente e ambientalmente insostenibile, la grande opera si fa, si farà, perché la vogliono quelli che contano, è da queste parti tutto il resto è un optional, è noia.
Insomma le due facce della medaglia tra una sera e una mattina, con due punti di vista, naturalmente, totalmente diversi. Da una parte chi lotta per la terra, per il salario, per la sovranità e per i diritti… Dall’altro chi costruisce una delle più grandi opere pubbliche del mondo.
Ma parliamo anche del canale in quanto tale, è Lungo 81,1 km compresi i prolungamenti in mare, e ha una profondità massima pari a 12 m, la larghezza varia tra i 240 e i 300 m nel lago Gatún, mentre è di 90–150 m nel tratto del taglio della Culebra.
Il canale artificiale è costituito da due impianti per la risalita e per la discesa che sono ubicati tra la Limon Bay ed il Lago di Gatun (lato Atlantico) e presso i villaggi di Pedro Miguel / Miraflores (lato Pacifico, quello che abbiamo visitato noi). Ognuno dei due impianti è composto da 6 conche poste a tre a tre su due differenti vie con salti di livello di circa 9 metri tra ognuna di esse, permettendo alle navi di superare un dislivello totale di circa 28m. Il canale evita alle navi dirette da porti del Pacifico a quelli dell’Atlantico e viceversa la circumnavigazione dell’America meridionale. Il tempo di percorrenza, dipendente dal traffico e dalla grandezza della nave, è di circa 8/12 ore.
Il canale è percorso da migliaia di navi all’anno per un tonnellaggio di decine di milioni di tonnellate in entrambi i sensi. Nel 2009, 14.342 navi hanno attraversato il canale, trasportando 198.014.288 tonnellate di cargo. Il pedaggio dovuto per la navigazione è la principale fonte dell’economia dello stato di Panamá.
Le navi che attraversano il canale non possono superare i 292,68 metri di lunghezza e i 32,31 metri di larghezza a causa delle massime dimensioni delle “conche” che, nel senso della lunghezza, sono limitate dalle porte di comunicazione tra le conche stesse.
Questo limite sarà superato a breve, con la conclusione dei lavori a cui abbiamo assistito che culminerà con l’espansione del canale ad opera di un consorzio a cui hanno partecipato la compagnia belga Jan De Nul, la spagnola Sacyr Vallehermoso, l’italiana Salini Impregilo e la panamense Grupo Cusa.
Il progetto originario del canale risale al XIX secolo; nel 1879 fu caldeggiato dal Congresso internazionale di Parigi ed ebbe tra i suoi promotori Ferdinand de Lesseps, già costruttore del canale di Suez.
Nel 1881 Lesseps fondò una società per raccogliere fondi e iniziò i lavori secondo un progetto molto complesso che non prevedeva l’impiego di chiuse; il suo tentativo fallì per gli ostacoli di natura tecnica e finanziaria. Nel 1885 fu sostituito da Gustave Eiffel e la società fallì nel 1889. Nel 1901 gli Stati Uniti ottennero dal governo colombiano (all’epoca Panamá faceva parte della Grande Colombia) l’autorizzazione per costruire e gestire il canale per 100 anni. Nel 1903 però il governo della Colombia, in un sussulto di orgoglio nazionale, decise di non ratificare l’accordo. Gli USA allora non esitarono a organizzare una sommossa a Panamá e a minacciare l’intervento dell’esercito se fosse avvenuta la reazione del governo legittimo. Panamá così, come già Cuba, divenne una Repubblica indipendente sotto la tutela degli Stati Uniti, che ottennero l’affitto perpetuo della Zona del Canale e l’autorizzazione a iniziare i lavori.
L’ampliamento verrà eseguito in quanto il referendum popolare ha dato, con il 75,25% dei ‘sì’ (il 43,3% degli aventi diritto ha votato, quindi fortissimo astensionismo) l’approvazione del progetto. I lavori, iniziati nel 2007, dovrebbero essere terminati entro il 2014 che coincide con il centenario dell’apertura del canale. Il progetto prevede la costruzione di due nuove serie di chiuse (noi siamo stati a Miraflores), parallele a quelle esistenti, in corrispondenza di ciascuno degli imbocchi del canale. Ogni serie avrà tre camere. Si sta procedendo inoltre allo scavo di due canali di accesso alle nuove chiuse e all’allargamento del canale di navigazione. Il progetto, prevede di portare al raddoppio della capacità di navigazione del canale entro il 2025.
Il 9 gennaio di ogni anno si ricorda il cosiddetto “Giorno dei Martiri“, Con riferimento alle rivolte scoppiate il 9 gennaio del 1964, quando una folla inferocita tentò di entrare nella Zona del Canale in protesta contro quello che venne percepito come un attacco della Polizia della Zona del Canale (statunitense) contro una dimostrazione studentesca (panamense). Le rivolte infatti iniziarono dopo che una bandiera panamense fu lacerata da soldati della Polizia durante una manifestazione studentesca che rivendicava il diritto di issare la bandiera panamense accanto a quella statunitense. Alcune unità dell’Esercito degli Stati Uniti vennero coinvolte nel tentativo di sedare la rivolta dopo che la Polizia era stata sopraffatta. Dopo tre giorni di combattimento, rimasero uccisi 22 Panamensi e 4 soldati statunitensi.
Il canale di Panama è forse il più grande emblema di un paese pieno di controsensi, che elargisce apprezzati servizi sia ai distinti uomini d’affari che ai più impavidi narcos colombiani e messicani. Un paese dove cresce il pil ma non la ricchezza distribuita. Un paese che usa il dollaro ed odia i gringos. Un paese dove si fanno affari e non si può perder tempo con lo stato di diritto, un paese abituato ad essere colonia, abituato all’idea per cui le cose le risolverà qualcun’altro.