HOTSPOT: inizio del fallimento del sistema di accoglienza
Da mesi, nell’ambito del piano immigrazione europeo, sentiamo parlare di HotSpot. Ma cosa sono veramente? Quando partiranno? Ad oggi sono domande a cui è difficile rispondere con chiarezza ma quello che abbiamo compreso nelle varie audizioni è che si tratta di centri già esistenti e attrezzati per identificare i migranti, che saranno ampliati. In teoria, le strutture permetteranno di tenere in stato detentivo i migranti per un periodo di tempo limitato. Negli hot spot, la polizia italiana sarà aiutata da alcuni funzionari delle agenzie europee Europol, Eurojust, Frontex ed Easo: gli agenti saranno impiegati per identificare i migranti che vogliono presentare richiesta d’asilo. Le forze dell’ordine procederanno a registrare i dati personali dei richiedenti asilo, fotografarli e raccoglierne le impronte digitali entro 48 ore dal loro arrivo, eventualmente prorogabili a 72 al massimo, nel corso delle quali si dovranno dividere i richiedenti asilo, che verranno immessi nell’apposita procedura con esame rapido della domanda, e i migranti cosiddetti economici, ovvero che non hanno diritto a richiedere la protezione internazionale. I migranti saranno trattenuti fino ad identificazione avvenuta. Nel caso rifiutino di essere registrati saranno trasferiti nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), delle strutture detentive, in attesa di essere rimpatriati.
Questi ultimi saranno rimpatriati, a spese dell’Europa, secondo la richiesta dello Stato membro.
Ad inizio agosto a Trapani doveva essere aperto il primo Hot Spot imposto dall’Unione Europea ma ad oggi non è cambiato nulla. Il centro CIE di Trapani (Milo), ridefinito come hot spot e con una capienza raddoppiata, doveva garantire l’identificazione dei migranti attraverso il prelievo delle impronte digitali e la separazione del richiedente asilo dai cd. migranti economici. Questi ultimi da espellere con il concorso economico ed operativo di Frontex.
Procedure che a Trapani si sono inceppate subito, perché il CIE che si sarebbe dovuto trasformare in Hot Spot, il 17 agosto scorso, veniva riempito con 116 immigrati marocchini fatti sbarcare a Catania e quindi trasferiti a Trapani, che il ministro Alfano aveva promesso di espellere in pochi giorni e che invece sono ancora trattenuti all’interno della struttura, per quanto ci risulta.
Il quartier generale di Catania sta coordinando le operazioni in quattro porti (Pozzallo, Porto Empedocle e Trapani in Sicilia, e quello dell’isola di Lampedusa) che sono stati identificati come hot spot. In ciascuno di questi vi sono strutture di prima accoglienza che possono ospitare complessivamente circa 1 500 persone ai fini dell’identificazione, della registrazione e del rilevamento delle impronte digitali. Altre due strutture di accoglienza saranno pronte ad Augusta e Taranto entro la fine del 2015. Si parla inoltre di utilizzare caserme e tendopoli.
Dal 21 settembre il centro di identificazione di Lampedusa è attivo come hot spot in via sperimentale. Il 23 settembre il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha comunicato al vertice dei capi di stato e di governo l’inizio delle operazioni per attivare gli hot spot.
Cosa succede esattamente a Lampedusa? In realtà sull’isola siciliana quasi nulla è cambiato nelle procedure usate per registrare i migranti: sono identificati grazie al foto segnalamento e alla rilevazione delle impronte, e sono sottoposti a un controllo sanitario, come succedeva in precedenza. Tutto questo entro quarantotto ore dall’arrivo. Queste operazioni sono ancora svolte da personale italiano, con la differenza che ora sono controllate da funzionari dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) e dell’Europol presenti sul posto, che però non hanno autorità di intervento.
Secondo l’ufficio stampa del sindaco di Lampedusa, il modello di accoglienza usato sull’isola sarà esportato negli altri centri italiani e greci. Anche per questo i funzionari europei supervisionano le procedure delle forze dell’ordine italiane.
L’UNCHR fornisce supporto ai funzionari EASO nel dare le informazioni legali ai migranti in arrivo. Il personale dell’Unhcr è presente a Lampedusa già dal 2006 e con l’attuazione delle nuove regole l’agenzia lavorerà anche negli altri hot spot e nei centri di accoglienza dove i richiedenti asilo saranno ospitati in attesa di ricevere una risposta alla loro domanda. Si tratterà di personale con formazione giuridica, che spieghi ai migranti il funzionamento del piano di ricollocamento nei paesi dell’Unione europea oltre ai loro diritti e ai loro obblighi di richiedenti asilo.
É necessario che le informazioni siano fornite in modo chiaro ai migranti, grazie al lavoro di mediatori culturali e a materiale stampato in varie lingue, affinché le nuove misure abbiano successo.
In Italia lavorano attualmente 11 esperti di screening e 22 esperti di debriefing di Frontex. Il loro numero e il luogo di assegnazione variano in funzione delle esigenze operative. Frontex fornirà inoltre 12 operatori per il rilevamento delle impronte digitali.
In questo modo si corre il rischio che i Cie siciliani si avviino verso la definitiva implosione.
Servono garanzie su rimpatri e ricollocazioni, per evitare che il flusso rimanga in Italia, nel caso in cui gli Stati membri blocchino le frontiere.
Al fine di sostenere il rapido trattamento delle domande di asilo di persone aventi cittadinanza di paesi terzi designati come sicuri, la Commissione ha inoltre annunciato nell’agenda europea sulla migrazione la propria intenzione di rafforzare le disposizioni sul “paese di origine sicuro” figuranti nella direttiva sulle procedure d’asilo; tra questi i Paesi balcanici e la Turchia.
A questo punto sorgono spontanei alcuni quesiti:
Come si può stabilire in 48 ore se i migranti hanno diritto a ricevere asilo politico?
Quale sarà il tipo di visto che gli sarà dato dal Paese di accoglienza al Paese di ricollocazione? Con quale tipo di visto si muoveranno? Un visto di transito?
La Turchia, visti anche gli ultimi accadimenti, può figurare nella lista dei Paesi sicuri?
Nel frattempo, durante l’ultimo Consiglio Europeo, Merkel e Hollande impongono il canale privilegiato con la Turchia. La Commissione ha di fatto cercato di spostare in Turchia il confine meridionale della UE, pagando un pedaggio di 3 miliardi di euro al governo Erdogan, la garanzia di apertura dello spazio Schengen ai cittadini turchi, che così non avranno bisogno di mostrare i passaporti, la riapertura del dossier Turchia per l’ingresso nella UE. Per tradurre: la Commissione UE si sta chinando difronte al presidente turco Erdogan, a meno di due settimane da un importante e delicato voto legislativo e a pochi giorni dall’attentato di Ankara, mostrando tutta la propria debolezza, e finendo per essere considerata come la vera supporter di un presidente che dire controverso è davvero poco. Ma per trattenere in Turchia quelli che Juncker ha contato come i due milioni di siriani, la Commissione è stata disposta anche a tutto. La “soluzione turca” è obbligata dal fatto che oggi non vi è alcuna divisione paritaria per i rifugiati in ambito UE, con la forte opposizione di Gran Bretagna e soprattutto dei paesi dell’Est, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia. Ovviamente, nessun leader europeo ha contrastato questa strategia politica a regia franco-tedesca. Perché i francesi, con Hollande, hanno ottenuto quel che chiedevano, ovvero un nuovo sistema di controlli alle frontiere, dopo i casi di Ventimiglia e di Calais, con l’impiego di forze di nuove forze speciali di guardie frontaliere e costiere, allo scopo di rafforzare Frontex.