Ho scritto ieri che era opportuno evitare facili commenti e riflettere, che c’è un tempo per il dolore ed un altro per le analisi. Oggi iniziano le analisi.
Ieri è stata una giornata triste e complicata, perché vi assicuro che la sensazione che si prova quando le bombe esplodono nei luoghi che frequenti, nella città in cui vivi, a poca distanza a te, è molto diversa.
Sarei un ipocrita a raccontarvi che quello che ho provato ieri è uguale a quello che provo quando scrivo delle stragi in Turchia, in Mali, in Francia o in qualsiasi altro posto dove perdono la vita esseri umani colpevoli solo di passare in un determinato luogo in un determinato momento. Nel secondo caso sei dispiaciuto e capace di analizzare la cosa con freddezza e distacco (come hanno fatto ieri tanti faciloni della politica), nel primo caso invece tocchi con mano quanto reale e vicina a te sia la minaccia.
Capiamoci, stiamo parlando di un tema estremamente complesso, ma possiamo provare a focalizzarci su alcuni punti. Partiamo da un presupposto, oggi è chiaro a tutti che quando parliamo di Daesh/ISIS e del terrorismo jihadista non stiamo parlando di improvvisate gang di quartiere, dei teppistelli disadattati che trascorrono il tempo a farsi saltare per aria, di esaltati estremisti islamisti che seguono chissà quale credo religioso. Stiamo parlando di una organizzazione militare (o paramilitare se preferite) che ha dichiarato guerra all’occidente per tutta una serie di causa e concause su cui ci possiamo fermare a riflettere per mesi.
Per ogni ulteriore ragionamento è fondamentale avere chiaro questo concetto, l’attentato di ieri è stato preparato, e forse anche anticipato a causa dell’arresto di Salah Abdelslam, da un gruppo organizzato seriamente a livello militare, da professionisti della morte che godono di supporto logistico, finanziario e strategico e che in Belgio hanno la loro sede operativa per dei motivi che analizzerò più avanti.
Avevo detto che oggi sarei passato alle analisi e quindi stamattina, con il Parlamento chiuso e l’aeroporto bloccato, ho deciso di andare in giro per Bruxelles, da Place de la Bourse, luogo di raccolta del dolore, a Molenbeek, il quartiere dove i terroristi vivono sereni e protetti, divenuto ora simbolo del delirio jihadista europeo.
Il ragionamento parte dal Belgio. Perchè il Belgio?
Parliamo dello Stato con il maggior numero di foreign fighters (si dice circa 600 di cui un centinaio tornati dalla Siria qui), con una forma di governo federale (che genera già di per sé un problema di scambio di informazioni all’interno) locato in una posizione strategica, tra Francia, Germania, Olanda ed Inghilterra. Quindi con la libera circolazione che garantisce la stessa comodità logistica che si avrebbe nel trovarsi nei paesi circostanti essendo però sottoposti alla autorità e al controllo del Governo federale Belga.
Questo è il primo grosso problema. In UE (sempre in prima linea per facilitare interessi economici e finanziari) non è stato mai previsto alcun reale meccanismo che garantisca collaborazione e scambio di informazioni tra i paesi membri. Questo significa che ogni singolo Stato ha i suoi sistemi di intelligence (più o meno evoluti ed incisivi) e difende gelosamente i suoi scheletri negli armadi dallo Stato vicino e dai cosiddetti alleati.
Il secondo presupposto che dobbiamo tenere in considerazione è che il sistema di intelligence e di interni belga fa acqua da tutte le parti, non si sa se per manifesta incapacità o per altre imbarazzanti ragioni, ma di sicuro rappresenta una voragine aperta al centro d’Europa.
Questo non significa che gli altri Stati d’Europa siano privi di cellule operative jihadiste e non abbiano grosse falle a livello di interni, di intelligence e di scambio di informazioni. Il rischio è concreto ovunque ed il Belgio rappresenta la punta di un iceberg ampiamente sottovalutato (non si quanto di proposito) da chi si trova al timone della nave.
Come può mai funzionare un sistema autarchico del genere con un nemico che si muove agilmente e con grandi mezzi tra tutti gli Stati? Mistero assoluto. Sicuramente non funzionerà mai con le chiacchiere e gli annunci ridicoli dei presunti leader europei, che peraltro sono gli stessi annunci che hanno fatto dopo Parigi. Noi da novembre ad ora sul tavolo abbiamo visto solo un accordo improponibile con la Turchia (Stato doppiogiochista sulla questione terrorismo) in cui gli regaliamo tanti soldi, diritti e vite umane e bizzarre proposte di interventi armati utili solo a peggiorare la situazione, Libia docet.
La seconda linea di ragionamento, strettamente collegata con la prima, riguarda invece l’effettiva volontà degli Stati membri dell’UE e più in generale gli Stati occidentali di creare un vero fronte contro la guerra sporca all’occidente che il terrorismo jihadista vuole condurre.
Qui entra in gioco il fattore economico e la schifosa ambiguità di chi ci governa.
La domanda che mi faccio e che vi faccio è questa, come si può pensare di sconfiggere un nemico che viene finanziato dai tuoi soci d’affari, se non da te direttamente o indirettamente?
Nella lista americana dei cosiddetti “Stati Canaglia” (Rogue State) non figurano il Qatar, l’Arabia Saudita, il Kuwait e neanche la Turchia. Così come altri ne mancano dalle liste di coloro con cui si dovrebbe evitare di fare affari l’occidente.
Tutti Stati amici sia dell’occidente e dei suoi affari che degli affari del terrorismo, Stati a cui vendiamo armi senza alcuno scrupolo o controllo (compreso il governo di Matteo “lacrime di coccodrillo” Renzi) e con cui intratteniamo proficui affari senza alcuno scrupolo di sorta. Gli affari prima di ogni cosa, questo è purtroppo l’assioma che ci governa.
Se la vera intenzione, e non il proclama, è quello di sconfiggere il terrorismo internazionale, allora la comunità internazionale si dovrebbe porre in maniera rigida ed intransigente nei confronti di tutti i canali di sostentamento dei gruppi terroristici, intervenendo in modo adeguato sugli Stati che ne facilitano l’esistenza e la proliferazione. L’ISIS e in generale tutti gli altri gruppi terroristi islamisti non fabbricano armi, qualcuno gliele vende (o regala) e i terroristi devono vendere a qualcuno il petrolio dei pozzi che controllano.
Chi è questo “qualcuno”?
Non credo sia così impossibile, se fosse una priorità la lotta al terrorismo, risalire a chi fa cosa, dove e come.
Il terrorismo internazionale è assolutamente sconfiggibile se per la comunità internazionale diventa una vera priorità sconfiggerlo.
Dal punto di vista interno attraverso una concreta e reale cooperazione dei servizi di intelligence dei vari paesi e dal punto di vista esterno attraverso una comunità internazionale che smetta di essere ambigua con gli Stati fiancheggiatori.
Per oggi credo di aver scritto abbastanza, continuerò a raccogliere sensazioni utili al lavoro di commissione (sono membro della commissione affari interni del Parlamento Europeo) che riprenderà dopo pasqua.
Spero stavolta con l’intenzione di risolvere qualche problema in modo concreto al posto di continuare con chiacchiere inutili.