Diritti umani violati in Indonesia. Multinazionali chiudono gli occhi e armano guerra civile

L’Indonesia ha sperimentato negli scorsi anni una crescita costante, in termini sia politici sia economici, tramutando così l’acronimo “BRIC” (Brasile, Russia, India, Cina) in “BRIIC”. Nonostante i risultati siano di rilievo, la situazione economica non è ottimale, la ricchezza del paese infatti non è distribuita equamente, se consideriamo il fatto che i quaranta indonesiani più ricchi generano il 10,3% del PIL: tanto quanto i 60 milioni di cittadini più poveri. Inoltre l’Indonesia è ancora pesantemente affetta da una corruzione endemica che mette in serio dubbio l’imparzialità dei tribunali. Non dobbiamo dimenticare anche il danno ambientale derivante dallo sfruttamento indiscriminato della foresta pluviale che ha provocato la perdita di circa 6 milioni di ettari in soli dieci anni. Ma il dato più allarmante riguarda il rispetto dei diritti umani che è progressivamente a rischio a causa delle svariate violazioni adoperate dalle forze di polizia nei confronti di oppositori, attivisti e minoranze religiose e sociali. Il conflitto con il Free Papua Movement (OPM) è ancora vivo e attivo e ad alimentarlo sono proprio la violenza e l’intransigenza delle autorità governative. Infatti, va sottolineato l’accanimento nei confronti della comunità papuana, che più di tutti sta soffrendo questi soprusi. Arresti arbitrari e indiscriminati sono stati effettuati durante proteste pacifiche limitando così il diritto alla libertà di espressione e associazione. Tra i prigionieri politici, anche gli attivisti indipendentisti Yeimo Hosea e Ismael Alua del West Papuan National Committee, che sono stati arrestati durante una dimostrazione pacifica il 19 Dicembre. Vi sono altresì varie prove che documentano anche un uso eccessivo della forza da parte di guardie carcerarie nei confronti di prigionieri papuani, tra cui anche casi di tortura. Sebbene l’articolo 29 della Costituzione indonesiana sancisca la libertà di culto, la legge indonesiana contro la blasfemia sembra contravvenire a tale principio costituzionale, venendo puntualmente utilizzata a proprio piacimento dalle autorità ogniqualvolta possa tornare utile per accanirsi su rappresentanti di minoranze. Come è accaduto al governatore di Jakarta (Basuki “Ahok” Tjahaja Purnama), ingiustamente accusato proprio di blasfemia il 16 Novembre 2016. Lui è di religione cristiana e i cristiani in Indonesia sono una minoranza, rappresentando infatti meno del 10% della popolazione. Qui di seguito potete ascoltare il mio intervento a riguardo durante la plenaria di Strasburgo del 19 gennaio 2017 https://www.youtube.com/watch?v=-6YmSEiNolE]]>

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