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Una pioggia di veleno sui bananeros

Un massiccio avvelenamento da pesticidi a cui sono costantemente esposti i coltivatori di banane

di Gabriele Planeta – La coltivazione della banana, il frutto più consumato al mondo, porta con sé una schiavitù implicita in chiave moderna, la quale di fatto è cambiata soltanto nel nome e nelle modalità, ma non nella sostanza. Oggi, infatti, in America Latina non si sente più parlare di “negrieri” e “schiavitù” ma di “economie di scala” e “libero mercato”, ma osservando da vicino la realtà dei fatti poco o nulla é cambiato.

Nelle piantagioni di banane i lavoratori sono costantemente esposti a un uso massiccio e indiscriminato di sostanze chimiche altamente tossiche sia per l`uomo che per l`ambiente, dispensate settimanalmente dagli aerei agricoli. Sembra paradossale pensare che, di fronte all`altissima tossicità di queste sostanze, importanti fattori di sfruttamento quali salari bassissimi e lunghi ed estenuanti orari di lavoro passino in secondo piano.   

Nel 2016 uno studio condotto dall`Agenzia Statunitense per la Protezione dell`Ambiente ha mostrato come l`erbicida più utilizzato nelle piantagioni di banane in Ecuador, il Paraquat, sia associato a un`ampia gamma di gravi reazioni tossiche nell`uomo come insufficienza polmonare, cardiaca e renale, oltre che edema polmonare, disturbi del metabolismo, bronchiti croniche e morbo di Parkinson. Vista la provata pericolosità di questo pesticida, l’Unione Europea ne ha vietato la commercializzazione e l`utilizzo sul territorio comunitario dal 2007.

Ma il Paraquat è soltanto uno (e neanche il più tossico) dei prodotti chimici utilizzati.

Il Mancozeb per esempio, fungicida sempre presente in tutti i cocktails di pesticidi utilizzati nei campi, è stato associato a tumori al polmone e alla prostata, oltre che a effetti negativi sulla tiroide, sull`apparato riproduttivo, sullo sviluppo di embrioni e feti e in particolare sulla fertilità maschile.

I bananeros, secondo la ONG danese Danwatch, sebbene avvisati in anticipo del passaggio degli aerei agricoli, nella stragrande maggioranza dei casi non hanno il permesso delle aziende di lasciare le piantagioni durante l`irrorazione dei pesticidi, venendo quindi investiti dall`innaffiamento di questi veleni durante la raccolta (senza indossare alcun tipo di protezione), quando il tempo minimo di allontanamento dovrebbe essere di almeno 24 ore. Non sorprende dunque che molti contadini manifestino dopo pochi giorni (talvolta ore) evidenti eruzioni cutanee e fortissimi mal di testa, soltanto i primi (e più lievi) sintomi da avvelenamento.   

Purtroppo i pesticidi cosparsi con l` ”effetto spray” non si limitano a intaccare solo la porzione di terreno irrorata, ma si spostano e vengono trasportati con vento, pioggia e attraverso i fiumi, estendendo di fatto la superficie “avvelenata” e coinvolgendo le zone limitrofe, abitazioni dei contadini comprese.

L`uso di diserbanti, erbicidi e fungicidi sparsi dagli aerei con cadenza settimanale che uccide tutti i parassiti delle piante di banano (talvolta innocui in quanto danneggiano sensibilmente solo l`aspetto estetico della buccia, non intaccando la polpa che si conserva in perfetto stato) porta con se` anche un altro “piccolo” effetto collaterale: la nascita di bambini con gravi malformazioni.  Sembrerebbe proprio un capovolgimento totale del concetto “ubi maior minor cessat”.

Emblematica è l`esperienza di Jorge Acosta, ex pilota di aerei agricoli nelle piantagioni di banane. Jorge adesso le banane le conosce dal basso dopo averle viste per anni soltanto dall`alto. Infatti, 10 anni fa Jorge ha fondato l`Astac, sindacato per la difesa dei lavoratori nelle aziende che coltivano banane in Ecuador. Quando il veleno che spargeva dall`alto lo ha toccato da vicino nel 2008, vedendo tutti quelli che lavoravano con lui nelle irrorazioni aeree iniziare ad avere gravi problemi di salute, ha capito che il prezzo morale da pagare era diventato troppo alto. Ora, sceso da quell`aereo di veleni, Jorge è il simbolo della lotta di tutti i bananeros ecuadoriani.

In tutto questo contesto non può certo mancare anche un contorno di sfruttamento lavorativo dei bananeros (10-12 ore di lavoro al giorno) e salariale (12 euro al giorno in Guatemala, 17 in Ecuador). Questo mi porta a riflettere sul fatto che in paesi come l`Australia, mutatis mutandis, queste cifre siano addirittura al di sotto della retribuzione minima per una sola ora di lavoro.

Troppo facile porsi la domanda “Perché non si ribellano?” O “perché non si dedicano ad altro?” Altrettanto facile è la risposta purtroppo. Queste persone, che versano in condizioni di estrema povertà, vivono sotto la costante minaccia di perdere il lavoro qualora dovessero opporsi in qualsiasi modo e momento ai “padroni”, e naturalmente devono al contempo garantire il sostentamento per loro stessi e per le loro famiglie. Non hanno altra scelta insomma.

Ma queste persone non dovrebbero neanche essere poste davanti a un dilemma del genere, dal momento che vengono sfruttati e avvelenati per generazioni solo per garantire che le banane arrivino sulla nostra tavola con una maggiore freschezza e consistenza.  

Maggiori info: https://goo.gl/YaqicQ

Il Doc di Rai Play: https://goo.gl/jB5dGw

 

 

 

 

 

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