In questo post vi parlo di una questione cruciale per l’Italia, e lo faccio elencando casi e dati che potrebbero lasciarvi stupiti. Mettetevi comodi e prendetevi 3/4 minuti per leggerlo tutto d’un fiato, ne vale la pena. Sconsiglio la lettura agli analfabeti funzionali, quelli che non riescono a leggere oltre 3 righe e coloro che mi commentano “e allora il MES?” (su cui peraltro mi sono espresso decine di volte in modo chiarissimo).
Ieri, senza troppo rumore e nel pieno del dibattito delle misure economiche, finalmente l’Italia si è dotata di uno scudo molto importante. Il golden power.
Ne avete sentito parlare? Questo nome ha destato la vostra curiosità?
Il nome esotico potrà farvi pensare ai famigerati power rangers o ai dolcissimi cuccioli di golden retriever, ma invero stiamo parlando di uno strumento estremamente importante che serve a blindare le imprese strategiche italiane contro le scalate ostili straniere (ostilità che, in questo periodo, stiamo vedendo crescere con una certa frequenza). Il golden power ha preso il posto della vecchia golden share e da al governo maggiori strumenti di difesa per proteggere il patrimonio italiano in caso di emergenza, ammettendo ad esempio un veto preventivo sulle acquisizioni ostili, anche intra europee. Verrà esteso anche al settore alimentare, finanziario e assicurativo o sanitario. Quindi non solo la grande industria o il settore energetico.
Detto questo, per capire di cosa stiamo parlando, riepiloghiamo le vicende di alcuni famosi marchi Made in Italy che ancora oggi producono e vendono grazie alla loro origine e storia italiana, che rappresenta il vero valore di marchi che di italiano non hanno più nulla, se non il nome.
Nel settore dell’agroalimentare, le acquisizioni di marchi storici sono sempre coincise con il peggiorare delle condizioni dei nostri produttori e agricoltori. Vi faccio qualche esempio di falso italiano: gli svizzeri della Nestlè detengono il marchio Italgel (Gelati Motta, Antica Gelateria del Corso, La Valle degli Ortie), i surgelati e le salse Buitoni, l’acqua minerale Sanpellegrino, Levissima, Recoaro, Vera, San Bernardo e Panna. Gli italianissimi nomi Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori sono in realtà proprietà della francese Lactalis, che ha comprato anche Parmalat nel luglio del 2011. Gli oli Cirio-Bertolli-De Rica sono della della spagnola Deoleo, già titolare di Carapelli, Sasso e Friol. Sempre ai francesi è andata Eridania Italia, società leader nel settore zucchero italiano. Di nome. Naturalmente, una volta preso possesso della produzione si passa alla distribuzione. Infatti, anche la GDO italiana è stata presa d’assalto dai francesi di Carrefour, Castorama, Auchan e Leroy-Merlin. Non ci hanno lasciato neanche le caramelle, infatti le storiche Sperlari, insieme a Saila, Dietorelle, Dietor e Galatine, fa parte del gruppo tedesco Katjes. Agli amanti delle birre italiane non è rimasta neanche la soddisfazione di poter gustarsi la loro bionda davanti una partita di calcio in TV. La Birra Peroni e la Nastro Azzurro sono proprietà del colosso sudafricano SABMiller plc, che fanno compagnia ad altri marchi storici italiani in mano a multinazionali. Alla lista dell’agroalimentare aggiungiamo Star, con i suoi Pummarò, Sogni d’oro, GranRagù Star, Orzo Bimbo, Risochef, Mellin, che appartiene alla spagnola Gallina Blanca del Gruppo Agrolimen. Così come è spagnola la Ebro foods fa che incetta di pastifici nel nostro Paese.
Passiamo all’italian style, settori di lusso, di nicchia o di tendenza. La Maison di moda fondata a Milano da Elio Fiorucci nel 1967 è stata rilevata negli anni 90 dalla Edwin International, società giapponese di abbigliamento con 8 marchi di proprietà e 6 in licenza, tra cui Lee, Wrangler e Avirex. Gli yacht dei cantieri navali della Ferretti sono ora di proprietà di Shandong Heavy Industry-Weichai Group. Le collezioni di Krizia sono passate a Marisfrolg Fashion Co azienda leader sul mercato asiatico del pret-a’-porter di fascia alta. Il fondo francese Kering ha fatto shopping in Italia accaparrandosi i marchi Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Sergio Rossi, Brioni e Richard Ginori (ci vendono anche i bidet che loro manco hanno nelle loro case). Sempre francese, del gruppo Arnault, è invece Lvmh, già titolare di Loro Piana, Acqua di Parma, Fendi e di Bulgari. Valentino è dal 2012 nelle mani di Mayhoola Investments (Qatar), mentre il marchio Gianfranco Ferrè è andato a Paris Group di Dubai. La Rinascente, prima in mano alla famiglia Agnelli, adesso appartiene alla thailandese Central Group of Companies. È finita invece in mani americane Poltrona Frau, rilevata da Haworth, mentre il marchio Versace è stato venduto allo stilista Michael Kors per più di 2 miliardi di dollari nel 2018.
Poi abbiamo dei marchi più commerciali di abbigliamento che hanno fatto sempre gola non solo alla Francia ma anche all’estremo Oriente e agli Usa. La giapponese Itochu Corporation ha nel tempo acquistato marchi italiani come Mila Schon, Conbipel, Sergio Tacchini, Belfe e Lario, Mandarina Duck, Coccinelle, Safilo, Ferrè , Miss Sixty-Energie, Lumberjack e Valentino S.p.A. Quasi tutte queste aziende sono state poi rivendute sempre ad aziende straniere.
La Ducati, orgoglio italiano, è diventata tedesca. Così come lo è diventata la Lamborghini, entrambe finite sotto le grinfie della Volkswagen. Pure la carta Fabriano, su cui tutti abbiamo disegnato, oggi parla un’altra lingua, inglese (con accento americano), stesso accento che sentirete dalla proprietà della Costa crociere. Le macchine da caffè SAECO parlano olandese, le caldaie Riello american english e i climatizzatori De Longhi giapponese. Vi sembrerà una cazzata ma anche bar, salumifici, gelaterie, hotel e ristoranti rinomati hanno l’aspetto della tradizione italiana ma sono spesso in mano a fondi stranieri.
Nel settore delle Telecomunicazioni, estremamente strategico, la francese Vivendi e il fondo americano Elliot controllano Telecom. La Vivendi è anche azionista forte di Mediaset e prova a scalare la Fininvest di Berlusconi.
Poi naturalmente non dobbiamo dimenticare l’infatuazione francese nei confronti delle nostre banche, altro settore estremamente strategico. C’è la nota acquisizione di Bnl da parte del gruppo Bnp Paribas. Poi nel 2007, a seguito della fusione tra Sanpaolo Imi e Banca Intesa, per motivi dettati dall’antitrust Intesa Sanpaolo cede il controllo delle banche Cariparma e Banca Popolare FriulAdria (654 sportelli in tutto) alla francese Credit Agricole.
L’industria italiana desta invece più interesse nei tedeschi e negli asiatici. Infatti, l’acquisizione di Italcementi da parte di HeidelbergCement è stato un vero colpo industriale ai nostri danni. Anche le acciaierie di Terni sono diventate tedesche. Mentre Pirelli è diventata cinese, la AnsaldoBreda giapponese. Mentre per quanto riguarda la fiat, questa è sempre più americana, ma con un piede a Londra e l’altro ad Amsterdam. Le cucine Merloni sono definitivamente uscite dalla scena degli elettrodomestici dopo l’acquisto da parte dell’americana Whirlpool, portando a molti problemi e tensioni negli ultimi tempi. La francese Suez è il primo azionista privato dell’utility romana Acea. Magneti Marelli è passata ai giapponesi di Calsonic Kansei.
Nel settore dell’energia invece è francese l’accento che parlano le nostre aziende come Edison (Edf), mentre Saras dei Moratti ha anche l’accento russo dovuto alla partecipazione di Rosneft. State Grid of China ha il 35% di Cdp Reti, la scatola in cui sono detenute le partecipazioni di controllo di Terna e Snam, mentre e Shanghai Electric ha il 40% di Ansaldo Energia.
Il settore dei trasporti italiano invece è stato smembrato anche dalle grandi capacità dell’era berlusconiana con i “patrioti” che hanno usato il Made in Italy per monetizzare. L’industria ferroviaria nazionale è in mani straniere. La Fiat Ferroviaria è controllata da Alstom dal 2000, mentre la Tibb (Tecnomasio-Brown Boveri) è passata prima sotto la Daimler Benz-AdTranz (1996) e poi sotto la canadese Bombardier (2001). AnsaldoBreda e il 40% di Ansaldo Sts è stata venduta alla giapponese Hitachi da parte di Finmeccanica.
L’industria dell’aviazione ha subito le varie cordate interne ed esterne nei decenni, ma la mazzata è stata la manovra mortale da parte del governo Renzi e del “fido” degli industriali di Calenda. L’entrata di Etihad nella cabina di pilotaggio di Alitalia e poi il fallimento della partnership ha dimostrato perlomeno l’incapacità di gestire un interesse pubblico e per giunta con soldi pubblici. In tema di aviazione c’è anche il pasticcio Meridiana e Piaggio Aerospace, produttrice di aerei, dal 2014 nelle mani del fondo sovrano arabo Mubadalae.
Ecco, qusto elenco è solo esemplificatico (c’è un interessante libro di Mario Giordano che ho letto qualche mese fa, “l’Italia non è più italiana”, che racconta molte di queste storie), perchè la realtà è molto più lunga e drammatica ed è realmente diventato difficile trovare, nel circuito della globalizzazione, qualcosa di autenticamente italiano. Per questo il Golden Power è importante e andava attivato prima. Bisognerebbe chiedersi chi c’era al Governo e perchè si è lasciati depredare il nostro Paese. Adesso l’Italia può provare a riprendere un cammino interrotto più di 30 anni fa. Questo è quello che secondo me dovrà continuare a fare il MoVimento 5 Stelle nel suo futuro prossimo, restando polo alternativo e agendo con coraggio e spirito combattivo. Proteggere e nazionalizzare da un lato e imparare/insegnare a consumare ciò che genera ricchezza in un circuito di economia locale, e quindi reale, dall’altro.
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