Possiamo spendere fiumi di belle parole per celebrare il primo maggio, la festa dei lavoratori, ma la realtà è che, la scelta di un modello economico e sociale basato sul dogma del neoliberismo, il lavoro te lo leva o lo rende sempre meno dignitoso.
In questo giorno è bene ricordare la storia della nostra grande azienda di Stato, la Fabbrica Italiana Automobili Torino (FIAT), fondata 121 anni fa. Una fabbrica finanziata e rifinanziata all’infinito da tutti gli italiani, una azienda pubblica quando c’era da spendere e privata quando c’era da incassare, come da consuetudine italiana. La sua storia è uno dei migliori esempi da raccontare quando si parla di lavoro e neoliberismo. Un emblema del sostegno trasversale della politica all’impresa privata.
Si narra che per elencare tutti i favori dello Stato alla FIAT, ci vorrebbe una enciclopedia (si parla di varie cifre, ma c’è chi ha quantificato i finanziamenti statali alla FIAT in 100 miliardi di euro). Alla famiglia Agnelli infatti una mano l’hanno data proprio tutti, da Andreotti a De Mita, da Spadolini a Cossiga, da Craxi a Ciampi, passando per Prodi, da D’Alema a da Giuliano Amato. Chi sotto forma di aiuti, chi di scambio di favori, chi di paletti di protezione e via dicendo. Che ci sia stata una attenzione particolare della politica nei confronti di un colosso industriale, di fatto statale, possiamo comprenderlo. Quel che non si comprende è come una azienda che per decenni ha campato di contribuzione pubblica per l’occupazione industriale italiana, sia arrivata ad aprire stabilimenti in Polonia, Serbia, Russia, Brasile e chi più ne ha più ne metta. Parliamo di una progressiva perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, si stima che tra il 2000 e il 2017 in Italia si sia scesi da circa 112.000 occupati a circa 60.000, a cui va aggiunto tutto l’indotto.
La storia diventa ancora più tetra quando leggi che l’azienda che più di tutte ha attinto all’albero della cuccagna dei sacrifici degli italiani, oggi si chiama FCA, ha sede legale ad Amsterdam e domicilio fiscale a Londra e appartiene a una holding finanziaria della famiglia Agnelli che si chiama EXOR (una volta il gruppo finanziario si chiamava “istituto finanziario industriale”), che ha sede legale e fiscale naturalmente in Olanda e che vanta un fatturato di 144 miliardi di euro e un utile netto di circa 9 miliardi nel 2019. Del gruppo EXOR fanno parte CNH Industrial, il gruppo riassicurativo PartnerRe, la casa automobilistica Ferrari, la squadra di calcio della Juventus, il settimanale The Economist, il gruppo editoriale GEDI (proprietario dei quotidiani la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, il settimanale L’Espresso, più una catena di quotidiani locali e varie radio, che come potete immaginare fanno un servizio di informazione liberissimo). EXOR è un gruppo olandese che rappresenta la prima società in Italia per fatturato. Strano, vero?
Poi c’è Mediaset, ad esempio, altra azienda che ha avuto mille agevolazioni dallo Stato Italiano, che dopo i gloriosi anni di produzione italiana, ha mandato Gerry Scotti a condurre “chi vuole essere milionario” in Polonia, dove i costi di produzione sono sensibilmente più bassi. Da settembre 2019 Mediaset e Mediaset España hanno deciso di fondersi dando vita ad un polo televisivo europeo di nome Media for Europe (MFE), con sede legale indovinate dove? In Olanda, ça va sans dire. Perchè l’azienda di Berlusconi ha seguito la strada degli Agnelli e ha spostato casa ad Amsterdam, a Prins Bernhardplein 200?
Perchè in questo sobborgo di Amsterdam si trova la Intertrust, azienda specializzata nell’accomodare in Olanda società di ogni genere, che gestisce gli affari di oltre 2.800 aziende europee e mondiali, con un flusso di denaro che si aggira attorno ai 5.000 miliardi di euro ogni anno (oltre a FIAT e Mediaset troviamo a questo indirizzo la Cementir, del gruppo Caltagirone, poi Eni, Enel, Ferrero, Prysmian, Saipem, Telecom Italia, Illy Luxottica Group e tante altre importanti aziende nostrane). Si va ad Amsterdam per pagare meno tasse (la tassazione sugli utili finanziari è quasi nulla), per controllare più agevolmente i propri affari (il diritto societario olandese aiuta) e perchè le plusvalenze generate nel corso degli anni fiscali restano quasi interamente nelle tasche dei proprietari delle aziende. Tutti denari sottratti alle economie degli Stati di appartenenza, naturalmente. La schiacciante vittoria del Mondo della finanza sull’economia in una irreversibile corsa verso il maggiore profitto e il minore costo di produzione.
Così, accompagnati da quell’inebriante profumo di ottimismo che da tv e giornali (anch’essi come avete visto appartenenti a gruppi industriali che seguono quella logica) si espandeva in tutte le nostre case, nel corso degli anni se ne sono andate a produrre all’estero un numero di aziende italiane che oscilla tra le 40.000 e le 50.000 unità. Fate da soli i calcoli di quante famiglie hanno perso, di conseguenza, la loro principale fonte di reddito. Parliamo di agroalimentare, di commercio, di manifattura, di produzione di macchinari, di apparecchiature metallurgiche, di tessile, di tutto. Salvo poi tornare sempre a vendere sul libero mercato i propri prodotti brandizzati dall’eccellenza del “made in Italy”. Certo, una quota di queste operazione possiamo definirle “operazioni di internazionalizzazione” che rafforzano e rendono più competitive quelle aziende, con ricadute positive anche nei territori di provenienza, ma un’altra parte sono senza ombra di dubbio mere operazioni di speculazione per generare maggiore profitto. In un post di qualche settimana fa, che vi posto tra i commenti, elenco un po’ di aziende “falsamente italiane”.
Il partito neoliberista italiano va dal PD alla Lega (partiti che con modalità diverse rispondono agli stessi padroni) e abbraccia tutto senza alcuna differenza. Non è un programma elettorale, è un dogma, una religione di Stato. Senza lotta a questo sistema, a questo modello, non c’è alcuna festa del lavoro che si potrà mai festeggiare. Buon primo maggio a tutti.
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