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Armi in Egitto. Il denaro è un servo eccellente, ma un padrone terribile

Da quando siedo tra i banchi del parlamento europeo ho sottoscritto e partecipato attivamente all’approvazione di almeno 4 risoluzioni sulla situazione dei diritti umani in Egitto, accompagnate da vari interventi, nella plenaria di Strasburgo, sul loro costante deterioramento sotto il regime di Abdel Fattah al-Sisi.

Amnesty International l’anno scorso ha pubblicato un agghiacciante rapporto che documenta sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture, maltrattamenti, processi irregolari e agghiaccianti condizioni di prigionia. e se ciò non bastasse dall’anno scorso la situazione è anche peggiorata.
Non ci sono solo i noti e tristi casi del nostro compianto connazionale Giulio Regeni e dello studente Patrick George Zaki. Parliamo di migliaia di vite, di teste, di sogni e speranze represse da un regime spietato che non ammette dissenso.

Nelle nostre risoluzioni abbiamo chiesto con insistenza non solo la verità su quanto accaduto a Giulio le altre vittime del regime, ma collaborazione giudiziaria e cessazione immediata delle continue violazioni dei diritti umani. Con altrettanta insistenza abbiamo citato le conclusioni del Consiglio Europeo del 21 agosto 2013, che annunciano la sospensione delle licenze di esportazione verso l’Egitto di attrezzature che potrebbero essere usate a fini di repressione interna, condannando il persistente mancato rispetto di tali impegni da parte degli Stati membri dell’UE. Cosa di non poco conto disattesa.
Abbiamo sollecitato gli Stati membri a sospendere le esportazioni verso l’Egitto di armi, tecnologie di sorveglianza e altre attrezzature di sicurezza in grado di facilitare gli attacchi contro i difensori dei diritti umani e gli attivisti della società civile. Tutto sempre disatteso e voi giustamente vi chiederete il perché. Beh, per il semplice motivo che non esiste una politica estera europea comune e quindi le nostre competizioni interne per accaparrarci quote di mercato non fanno altro che rafforzare questa tipologia di regimi. Facendo regredire il Mondo.

Per capire perché è così difficile contrastare i regimi totalitari, bisogna andare a vedere le relazioni commerciali di questi ultimi e i grandi affari che offrono nel panorama internazionale.
Ad esempio l’Egitto non solo ha buoni rapporti con tutta l’Unione Europea e gli Stati Uniti, ma vanta crescenti scambi con Russia, Cina e i ricchi Paesi arabi. Non si sa mai, meglio differenziare.
A livello intraeuropeo (e qui mi preme far notare perchè non si riesce a tenere una posizione comune), l’Egitto ha ottimi i rapporti con i 3 Paesi più grandi, ossia Francia, Germania e la nostra Italia. Rapporti rafforzati da quando l’Eni ha scoperto il più grande giacimento di gas del mediterraneo a Zohr. Le aziende italiane che operano in Egitto sono tante e della più svariata natura, da Italcementi a Banca Intesa, passando per un altro centinaio di nostri marchi che fanno affari all’ombra delle piramidi.

In assenza di regolamentazione comune, sul piano internazionale (o almeno europeo), sulla vendita di armi, il tema degli scambi commerciali non può che riguardare anche l’industria bellica, e qui viene la parte forse più interessante.
L’Egitto è infatti uno dei migliori acquirenti di armamenti italiani nel Mondo. Dalla Relazione al Parlamento è documentata l’autorizzazione per l’esportazione nel 2018 di “armi e armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm, bombe, siluri, razzi, missili e accessori, di apparecchiature per la direzione del tiro, di apparecchiature elettroniche e di software”.

Adesso il dibattito è incentrato su queste due fregate fremm, due navi della Marina militare italiana, la “Schergat” e la “Bianchi”, che starebbero per essere vendute a un Paese che resta attivamente impegnato nei conflitti in Yemen (con la coalizione guidata dai sauditi) e Libia (a sostegno di Haftar).
Come documenta il Fatto Quotidiano l’intera commessa Italia-Egitto dovrebbe comprendere anche altre 4 fregate, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 di Leonardo, più un satellite da osservazione, per un valore totale fra i 9 e gli 11 miliardi di euro. Tanti tanti soldi e come ben sapete “pecunia non olet”.

Dalle parti del Cairo non sono mica stupidi e sanno come funzionano le cose, mantenendo rapporti con tutti sanno diversificare i fornitori (cinesi, russi e americani, oltre che europei) così, in caso di sanzioni o blocchi delle forniture, arriva subito qualcun’altro. E quel qualcun’altro spesso non viene dall’altra parte del Mondo, ma parla francese e tedesco, che non sono nostri alleati europei, bensì nostri competitors in questa folle corsa alla conquista di quote di mercato.

Bisogna essere onesti e dire le cose come stanno. Lo dico io che ho firmato 4 risoluzioni e ho chiesto in tutte le lingue ripercussioni nei rapporti commerciali con l’Egitto in mancanza di collaborazione sul caso Regeni e stop alle continue violazioni. Non c’è niente di disonesto nel riconoscere che l’industria della guerra, della morte, della repressione vale circa il 3% del PIL mondiale e in assenza di una moratoria vera, unitaria e globale, qualsiasi ragionamento ideologico deve fare i conti con questi dati, con questi fatti. Ci scuseranno i giovani pensatori, gli studenti, i giornalisti, gli attivisti dei diritti umani torturati, uccisi e imprigionati dai vari regimi. Per cui si continuerà a chiedere giustizia e fare appelli.
Ma la triste realtà odierna, nel mondo, è questa. Non si possono capovolgere le argomentazioni di chi ti fa notare che, accettando tutti i buoni propositi, se non gliele vendiamo noi, le armi, gliele venderà qualcun altro. Producendo lo stesso danno con l’aggiunta della beffa. È imbarazzante ma è così e negarlo sarebbe da ipocriti. Non ci sono uomini e tempi per grandi azioni di diplomazia internazionale e svolte epocali. Le cose stanno così ed è bene dirlo senza troppi giri di parole.

Il denaro è un servo eccellente, ma un padrone terribile.

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