L’ultima volta che i cittadini italiani hanno avuto la possibilità di eleggere direttamente i propri rappresentanti in parlamento è stato ad aprile 1992. 28 anni e mezzo fa.
Da allora il diritto di scegliere chi ci deve rappresentare in parlamento è stato “de facto” soppresso.
Dapprima attraverso il “Mattarellum”, legge elettorale del ‘93 che porta il nome dell’attuale Presidente del Repubblica, e poi con il “porcellum” e l’”Italicum”, leggi elettorali inguardabili che hanno sentenziato, tra le varie cose, che a decidere chi siede in parlamento siano i partiti e non i cittadini. Punto e basta. Il tutto in assenza di alcuna procedura democratica che regoli le cosiddette “primarie” dei partiti per fare le liste (che ha fatto, parzialmente, solo il movimento 5 stelle nel 2018, ad esempio).
Vuol dire che tutti quelli nati dopo il 23 aprile 1974 (come me che sono dell’84), non hanno mai avuto l’opportunità di scegliere i propri deputati e senatori.
Possiamo scegliere a livello comunale, regionale ed europeo. A livello nazionale NO. Non ci è consentito.
Si votano simboli di partito legati ai loro cosiddetti leader, e questi, secondo la stessa logica per cui Caligola nominó Senatore il proprio cavallo incitatus, possono assegnare i posti in parlamento a chi vogliono, piazzando i loro “protegé” in collegi sicuri. Possono decidere chi va blindato piazzandolo in Regioni con cui non hanno niente a che vedere (tipo la Boschi in Trentino o Salvini in Calabria, per fare degli esempi noti). Possono insomma garantire le indennità e i privilegi del parlamento a chi vogliono, pure le loro amanti, i loro dipendenti o i loro avvocati. Non vi è nessun controllo, alcuna limitazione.
Sarà un tantino bizzarro che i cittadini possano scegliere, attraverso le preferenze, chi li deve rappresentare come Sindaco, Consigliere comunale, consigliere regionale, Presidenti di Regione ed europarlamentare, ma non possano scegliere coloro che secondo la Costituzione dovrebbero rappresentare il popolo, nel luogo dove dovrebbe concretizzarsi la repubblica parlamentare.
Mentre si discute di ridurre (giustamente) il
numero di parlamentari da 945 (numero previsto da una modifica del ‘63, non dalla costituzione del ‘48) a 600, sfugge che anche 600, se non si rimettono le preferenze, non rappresentano nessuno se non il partito che li piazza in posizione eleggibile garantendogli i ricchi emolumenti e benefit. Chi vuol difendere la democrazia rappresentativa e il ruolo di deputati e senatori previsto dall’Assemblea Costituente e applicato fino al 1994 (primo anno in cui si voto con le liste bloccate), faccia pressione per la reintroduzione delle preferenze.
Perché deve essere chiaro che tutti i deputati e senatori (e anche molti ministri e sottosegretari), dal 1994 a oggi (tranne quelli che sono passati per elezioni di altro livello con le preferenze) non sono passati per una legittimazione popolare. Il loro unico consenso è quello (non regolato dalla legge) verso il partito e chi dirige quest’ultimo in quel periodo di tempo.
Siamo abituati ad aver rispetto e riverenza verso le figure degli “onorevoli” e dei “Senatori”, ma la realtà è che dal 1994 ad oggi queste figure sono solo nominate e, spesso e volentieri, non hanno mai preso un voto in vita loro, neanche per fare l’amministratore di condominio. Meriterebbero maggior rispetto e riverenza i consiglieri comunali, autentica espressione della rappresentanza popolare, ma considerati ultima ruota del carro e costretti a rappresentare (quasi) gratuitamente e per attivismo civico.
Quindi, ricapitolando, persone che non hanno mai preso un voto decidono, votando le leggi, della vita di 60 milioni di cittadini. Cosa c’è di più antidemocratico?
RIMETTETE LE PREFERENZE, fate scegliere ai cittadini!
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